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AlesSandro Conti

L’omaggio di Alessandro Conti a Philip Glass (06live.com)

A cura di Raffaella Ceres

Sabato 24 giugno a Roma, il concerto del pianista Alessandro Conti sarà interamente dedicato a Philip Glass. Il programma prevede, infatti, l’esecuzione integrale di tutte le Piano Etudes (1994-2015), l’opera più vasta e ambiziosa che il compositore americano abbia dedicato al proprio strumento d’elezione. Eseguiti in Italia, in prima assoluta, nel 2016 presso il Teatro Regio di Parma e in quell’occasione suddivisi fra tre pianisti, per la prima volta saranno presentati nel recital di un solo interprete.

La nostra intervista dedicata all’evento ed al talentuoso Alessandro Conti.

Alessandro Conti, come ami raccontarti? Presentati per il pubblico di 06live!

Credo che per tutte le domande che seguiranno, non farò altro che tentare di rispondere a questa. Diciamo che sono una persona che tende ad andare altrove.

Il tuo prossimo concerto sarà dedicato interamente a Philip Glass. Perché hai fatto questa scelta?

Il corpus degli studi è indubbiamente tra le più interessanti opere pianistiche degli ultimi anni. In essi la tecnica dello strumento e quella che chiamerei la “superficie” espressiva del suono vengono riformulate nelle loro componenti nevralgiche, quindi nel complesso si tratta di una profonda meditazione sulla natura stessa della musica. Se posso dire, inoltre, la loro pubblicazione progressiva ha scandito i miei ultimi anni, legandosi significativamente ad eventi personali. Direi dunque che c’è anche una importante ragione autobiografica.

Quali saranno le peculiarità della serata?

Eseguirò tutto a memoria, senza soluzione di continuità. Inoltre i brani non seguiranno l’ordine editoriale. Per il concerto ho deciso di trovare una mia successione esecutiva, che possa mettere in luce alcune componenti strutturali che altrimenti resterebbero periferiche. Va detto però che si tratta di un ordine non necessariamente legato ai caratteri o alle tonalità dei pezzi (anche perché si potrebbe discutere a lungo se la musica di Philip Glass sia o no tonale). Piuttosto ho cercato di intercettare quelle che sono contrapposizioni o “legature” aderenti alla nuda prassi del suonare, affinché l’interpretazione dell’opera non sia un teorema da dimostrare, ma l’esito di un gesto interpretativo puntuale e dipendente dalla performance in sé. Direi che la categoria o piuttosto la traccia che ho cercato di seguire, in questa architettura privata delle Etudes, sia puramente il “toccare”. Che non è la musica, né già il suonare. È qualcosa di pervasivo e quindi forse meno evidente.

Quali emozioni accompagnano il prepararti per questo evento?

Innanzitutto parlerei di concentrazione. O meglio, la necessità di raggiungere e soprattutto controllare uno stato mentale focalizzato ma in qualche modo non tematico, non costrittivamente legato all’oggetto della propria attenzione. È una precondizione del suonare. Tra le maggiori difficoltà, come spesso mi capita anche con altri autori (primo fra tutti, Schubert), è quella di riuscire a suonare un brano senza uscirne col mal di testa per il coinvolgimento personale. Mi ripeto, ma suonare (toccare) è sempre un’esperienza autobiografica, con tutto l’impensato affettivo che essa custodisce.

Il tuo segno particolare? (artisticamente )

Direi un segno duplice. Un aspetto l’ho appena indicato, l’autobiografia in tutto quel che si fa. Che non significa banalmente mettere al centro la propria vita o ritenerla interessante al punto da centrare su di essa anche quelle degli altri; è qualcosa di più profondo, un “senso” (dacché si parlava del tatto) cui nessuno è estraneo. Non si ha altro da dire che se stessi, qualsiasi cosa si faccia. Onestamente non so nemmeno se sia un bene. Probabilmente no. Ma è un dato istintivo, animale direi. L’altra faccia del “segno” lo considero opposto al primo: non mi identifico col mio strumento, né con nessuna delle cose che faccio. Cerco di sorprendermi sempre altrove. E del resto, vorrei che chi mi ascoltasse venisse a sua volta sorpreso da un’esperienza d’ascolto che non coincide col pianoforte o col programma di sala, meno che mai col pianista. Vorrei fosse un’esperienza capace di sollecitare un altro suono, un’altra immaginazione, un altro narrare, di cui la circostanza del mio concerto è soltanto una soglia. Una tra le possibili.

Prossimi impegni live?

Innanzitutto lunghe e impegnative sessioni di studio. Ho diversi progetti in mente, molto repertorio su cui riflettere per tradurlo in proposte convincenti. Quando preparo il programma di un concerto, la musica è una delle componenti dello studio. Rincorro numerosi suggerimenti (dalla letteratura alla pittura, al cinema, alla danza) per poter vedere nitidamente la traiettoria di un programma compiuto. Tra tutto ciò alcuni concerti estivi tra cui il 27 luglio Grosseto, per il classica-jazz Festival e il 30 agosto a Roma, al Teatro Marcello. Presenterò dei programmi diversificati, con autori e stili divergenti ma immaginati, potrei dire, allo specchio l’uno dell’altro.

06live.com – …vedi l’articolo


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