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AlesSandro Conti

La musica, un meraviglioso contagio dell’anima. BeBeez incontra Alessandro Conti.

A cura di Ilaria Guidantoni

Il viaggio nella musica italiana continua nell’estate tra passi avanti e qualche arretramento, mentre in città si sente la voglia di tornare a fare musica anche senza i grandi concerti che sono nella nostra memoria. La sesta puntata nel segno del ritorno della musica è insieme ad Alessandro Conti, pianista, interprete dell’estate 2020 al Tempietto di Roma, tra sperimentalismo e tradizione che ci invita a “ritrovare la condivisione”.

Alessandro Conti, il 10 luglio a Roma, ha proposto un dialogo tra classico e contemporaneo,  in occasione del tradizionale Festival Musicale delle Nazioni, aprendo la serata con il brano dell’inglese Gavin Bryars Ramble on Cortona, meditazione pianistica su un manoscritto medievale rinvenuto nella cittadina toscana da Bryars stesso e utilizzato per l’elaborazione di una suggestiva pagina polifonica; quindi Diabléries dal ciclo Légendes del compositore francese David Chaillou, autore capace di fondere l’avanguardia sperimentale di Ligeti e Dutilleux con l’eufonia della tradizione tonale; e Toccata in Mi Minore BWV 914 di J. S. Bach; dopo la première della trascrizione pianistica dello stesso Conti del brano sinfonico di Philip Glass Channel and Wind, la Fantasie in Do maggiore di Robert Schumann.

Romano, pianista e direttore d’orchestra attivo sia in Italia sia all’estero, ha preso parte a prestigiosi festival internazionali e tenuto concerti a Vienna, Roma, León, Riga, Erevan, Amsterdam, Londra, Oxford. Primo interprete italiano ad eseguire in un unico concerto i Complete Piano Etudes di Philip Glass (nel giugno 2017), compare sui social media ufficiali del celeberrimo compositore nell’ambito dell’iniziativa #glassminute.  Ha studiato a Roma, come ci ha raccontato, e poi è andato in giro in Europa scegliendosi i maestri con i quali approfondire vari aspetti.

Lo abbiamo raggiunto per ascoltare il suo sentire in questo frangente nel quale la musica riprende a stento: “Negli ultimi tempi si è fatto un gran parlare della ripresa dei concerti nel rispetto delle norme di sicurezza riscritte all’indomani della pandemia. L’assembramento è in fondo l’anima del concerto nel senso che l’aspetto più importante di suonare davanti a un pubblico è il volto dell’altro, il tema della condivisione, in una sorta di fusione collettiva. In particolare per quanto concerne la musica strumentale, l’interazione tra musicisti e pubblico è preziosa e il fatto di ascoltare e non guardare uno schermo, ormai raro ai tempi attuali, pone al centro la relazione con l’altro. Siamo passati in pochi mesi da una società repressa a una società compressa che ha rivelato la forza preziosa dell’interazione.”

La musica silenziata durante il confinamento ha rivelato il suo carattere di linguaggio universale? Credo che la musica non sia un linguaggio, non sia parola sotto forma di note ma, come ha dichiarato Rilke, sia ‘amore riversato su enigma’ in quanto inesplicabile, ineffabile, assolutamente transitoria, esistendo solo nel momento in cui è eseguita.

Che cosa ha rappresentato per te la musica durante il confinamento? E per il pubblico? Ho continuato lo studio, quasi ossessivo, tipico della modalità dei musicisti, per cui lo spartito è come la sbarra per i danzatori. Per il pubblico è difficile esprimere un giudizio ma ho maturato una riflessione ascoltando i concerti in streaming. La musica deve ancora trovare il proprio linguaggio all’interno dei nuovi mezzi di comunicazione. Il concerto dal vivo, espressione tipica novecentesca, non funziona se ‘preso di peso’ e trasferito all’interno della modalità digitale. O almeno, funziona solo per gli appassionati. In streaming la musica è come una predicazione ai convertiti. Non si riproduce il coinvolgimento della musica dal vivo. On line costituisce un sottofondo, La quarantena si è scoperta un momento rivelatorio sul cammino da svolgere.

Con l’appuntamento romano riprendono i tuoi impegni nel segno di un dialogo con il tempo, Qual è la tua idea di musica classica oggi? Il repertorio tradizionale ha come il romanzo una suo modo preciso di costruire la narrazione che è difficile per chi non ha consuetudine con questo genere. Sono convinto che occorra trovare nuove vie per avvicinare il pubblico tanto che costruisco sempre il programma di un concerto terminando con un brano classico in senso stretto, come se fosse il punto di arrivo di un viaggio a due, l’esecutore e il pubblico.”

In particolare che tipo di ricerca c’è dietro le quinte del concerto romano? Qualcuno ha parlato di ‘sala degli specchi’; io potrei citare l’immagine del labirinto che si snoda tra linguaggi diversi, tenendo conto che c’è sempre un frammento del passato perduto che continua nell’oggi e che dev’essere ritrovato”.


Cosa significa tornare ad esibirsi davanti a un pubblico? Ricominciare dalla mia città mi ha fatto particolarmente piacere mentre è proprio il calendario prevalentemente estero che è stato annullato. Esibirsi in pubblico è fondamentale perché è un confronto con se stessi in un gioco di specchi e significa sentirsi parte del pubblico, uniti in un solo respiro; diversamente è come se il suono cadesse troppo presto a terra.

E’ difficile in questo momento fare progetti anche a breve ma cosa c’è nel tuo orizzonte più vicino? L’estate mi vedrà impegnato nel lavoro di trascrizione. Spero poi di recuperare in autunno un concerto a Roma, in Germania e nel Regno Unito e per ora le date sono state fissate. Entro fine anno, inoltre, dovrei esibirmi con l’Orchestra Metropolitana della Città di Bari in veste di direttore d’orchestra e questo mi riempie di gioia perché dirigere per me esprime la pienezza dell’atto di suonare anche senza la prestazione atletica dell’esecuzione. La direzione dell’orchestra con il gesto compie la fusione empatica che si vede nell’esito e mi sento di dire che confina con la mistica. Proprio nel periodo di quarantena sono nate due importanti collaborazioni, come quella con David Chaillou, compositore francese che spero si definirà presto nel dettaglio con un progetto di confronto fra il contemporaneo e l’atemporalità; e l’ammissione in tutti i social ufficiali di Philip Glass – compositore che nella mia vita ha un riferimento esistenziale -in particolare in due occasioni che considero un messaggio in bottiglia, rispettivamente, un minuto da casa suonando al piano verticale e il video di uno studio che hanno avuto grande diffusione e ricevuto commenti lusinghieri.

Il tuo impegno è rivolto totalmente a ‘fare musica’, senza spazio per l’insegnamento. Da cosa dipende questa scelta? La mia passione almeno per adesso è cimentarmi su me stesso e la dimensione concertistica rappresenta al momento il fulcro della mia attività.

Torniamo agli inizi, com’è nata la tua vocazione alla musica? Senza retorica, mi ritengo ancora agli inizi e più cammino, più il mio orizzonte si sposta in avanti e con il tempo sto apprezzando questo spostamento. La musica è la mia vita da sempre. Posso dire che mio padre suonava la chitarra e la fisarmonica ma credo che questo sia stato solo uno spunto. In realtà quando ascoltavo un disco il mio desiderio era di suonare la musica che sentivo. Uno dei primi ricordi è la V Sinfonia di Beethoven diretta da Georg Solti o Carlo Maria Giulini e il pianista e compositore russo Wladimir Horowitz che si sono cimentati su Mozart. L’incontro è stato puramente emozionale perché non conoscevo nulla. Forse non avevo ancora imparato a scrivere.

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